Tre mesi era durato l’amore tra Mariuccia e John. E il Marine se ne era tornato negli States, lasciando incinta la ragazza napoletana che, a soli 20 anni, orfana di padre, si vide costretta, nel giugno del 1945 a lasciare il frutto di quell’amore figlio della miseria e del bisogno, davanti al portone dell’Istituto Materdei delle Figlie della Carità.
Le Figlie della Carità, accolsero i due neonati, gemelli, come figli. Era il 29 giugno del 1945, li chiamarono Pietro e Paolo. I due bimbi crebbero coccolati nel migliore dei modi con l’aiuto anche del generoso quartiere. Come d’incanto però, il destino dei due gemelli cambiò.
Paolo fu adottato da una ricca famiglia di Posillipo, mentre Pietro, per tutti Pierino, da una coppia di impiegati.
Paolo visse un’infanzia e una adolescenza dorata: studi classici, laurea in giurisprudenza e infine magistrato. Il destino di Pierino fu crudele. Aveva dodici anni, quando i genitori morirono entrambi in un incidente d’auto. Morta anche la nonna con la quale viveva, a venti anni, purtroppo conobbe il riformatorio e poi Poggioreale. Era stato preso dai Carabinieri mentre pistola alla mano derubava un turista. Aveva trentacinque anni.
Nella primavera del 1980, come al solito l’aula del Tribunale penale di Napoli era stracolma di imputati, familiari e avvocati d’ufficio. Presidente della Corte il Giudice Paolo D.G. Arrivò il turno di Pierino. Il suo avvocato in modo approssimativo, descriveva la vita di stenti del suo assistito. Il Presidente Paolo seguiva con attenzione ma fu distratto dal Giudice a latere che sotto voce gli disse “Presidente avete visto l’imputato?” gli fece eco l’altro magistrato “Presidente io sono senza parole”. Paolo cambiò gli occhiali e invitò Pierino ad avvicinarsi al banco della corte. Pierino aveva lo sguardo basso, barba incolta, capelli biondi lunghi sulle spalle, si avvicinò e alzò lo sguardo. Gli occhi azzurri di Paolo e quelli di Pierino si incrociarono. I due giudici a latere guardarono entrambi il Presidente. I due giovani rimasero a lungo in silenzio. Il Presidente Paolo turbato, sottovoce disse “Grazie può andare”. Pierino tornò al banco degli imputati con lo sguardo rivolto verso la giuria. Paolo, rivolgendosi al Collegio, con la voce tremante disse “aggiorniamo la seduta”.
Paolo non riusciva a darsi pace, era sconvolto, non capiva. Finalmente decise di chiedere aiuto al padre, avanti negli anni ma ancora lucido che gli raccontò della sua adozione nel Convento di Materdei e infine dell’esistenza di un fratello gemello. L’incontro con la superiora fu commovente. All’epoca giovane novizia fu la prima ad accogliere i due neonati e descrisse i mesi che seguirono fino alle adozioni. Paolo non sapeva cosa fare, cosa dire, né era convinto di volere incontrare il fratello. L’indomani si recò dal Procuratore Generale e chiese di essere rimosso dall’incarico di Presidente della Corte per quel processo. La sua vita era cambiata, non accettava il destino di Pierino che fu condannato a tre anni di carcere.
Il 20 aprile 1983 Pierino usciva da Poggioreale, solo, senza casa e senza lavoro. D’un tratto un uomo alto, ben vestito, con una cartella sottobraccio si avvicinò a Pierino e gli disse “Signor Pietro E. devo consegnarvi questa cartella di documenti, apritela con calma; grazie, arrivederci e buona fortuna”.
Pierino in trance, aprì la prima busta, vi era un contratto di locazione di un quartino in Via San Potito. Nella seconda, una lettera di assunzione in una ditta di pulizie. Nella terza un milione di lire in contanti… La mente di Pierino era stravolta, gli occhi inondati di lacrime e un ricordo sbiadito diventava sempre più chiaro: quel giorno, in una fredda aula di Tribunale, i suoi occhi azzurri come in uno specchio, avevano visto il proprio futuro.
Antonio Lanzaro