Via Macedonio Melloni è la strada alle spalle di Piazza G.B. Vico. Scende giù parallelamente a Via Bernardo Tanucci che finisce in Piazza Carlo III. Tra Piazza G.B. Vico e la suddetta Via Melloni si erge un enorme fabbricato di proprietà del Santuario di Pompei.
Nel 1936 mio padre aveva preso in fitto un piccolo appartamento. Io sono nato lì. E lì vi ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Ma non da solo. Casa mia era punto di incontro di tutti i bambini del palazzo. In particolare due miei coetanei, erano assidui frequentatori: Gigetto e Peppino. Nei giorni di vacanza scolastica, “prendevano servizio” alle 10 del mattino e “smontavano” in tarda serata.
In casa mia vi erano giochi in abbondanza, ma vi fu un periodo che ci eravamo dedicati al disegno ed avevamo organizzato una gara tra noi. Su un foglio da disegno A/4 davamo libero sfogo alla nostra fantasia. Disegni alla mano, ci recavamo da tutti gli inquilini del palazzo, che di fatto costituivano la giuria. E con i fogli, ovviamente anonimi, li pregavamo di stilare una graduatoria. Il vincitore era sempre Gigetto, secondo Peppino e terzo il sottoscritto. In verità i miei disegni facevano veramente schifo. Mentre quelli di Gigetto erano stupefacenti: disegnava di tutto, ma i soggetti preferiti erano gli uccelli: pappagalli, canarini, colombi. Appollaiati o in volo con colori incredibili. Dopo sei o sette gare, consapevoli della netta superiorità di Gigetto, lasciammo il disegno e ci dedicammo a costruzioni e soldatini. Avevamo 12/13 anni!!!!
Nel 1962, andammo via da quella bella casetta e traslocammo al Vomero. Non rividi più i miei amichetti e spesso li ricordavo con nostalgia.
Era il 1986, forse 1987, periodo natalizio. Docente universitario avevo la mia stanza in Via Guglielmo Sanfelice e spesso, prendevo l’autobus alla fermata di Via Monteoliveto, dinanzi al Cinema Adriano. Una mattina, nel mese di dicembre, fui attirato da una ragazza che sul marciapiede di fronte nello spazio antistante le Poste esponeva dei piccoli quadri. Attraversai, mi avvicinai e rimasi senza parole. Quei quadretti, dipinti a olio su fogli di compensato formato A/4 ritraevano uccellini in varie pose. Ero basito. Quei quadretti mi ricordavano Gigetto. Visto che la ragazza 18/19 anni, carina, vestita dimessa, mi guardava, le chiesi “Sei tu l’autrice?” “No”! rispose, “Mio padre”. Ed io di rimando “Come si chiama tuo padre”; arretrò e rimase in silenzio. Mi resi conto del suo imbarazzo e aggiunsi “Per caso si chiama Gigetto ed ha 40/41 anni? La ragazza ebbe un sussulto, strabuzzò gli occhi e disse “Sì” come fate a saperlo. Ed io “è una lunga storia”. “Come stà tuo padre”. Lei resasi conto della mia buona fede continuò. “Qualche anno fa ha perso il lavoro ed inoltre è ammalato. Dipinge ed io tento di vendere i suoi quadretti”.
Ero paralizzato, non riuscivo a parlare. Riavutomi, scelsi un quadretto raffigurante due pappagallini che appollaiati su un ramo congiungevano i becchi. Ecco, dissi, prendo questo. “Quanto ti devo? Con un filo di voce sussurrò: “cinquemila lire”. Aprii il portafogli, vi erano trentamila lire, le presi, le piegai e gliele misi in una mano, stringendogliela. La ragazza, resasi conto della somma profferì soltanto “Ma….” Ed io “Salutami papà e digli “Tonino di Via Macedonio Melloni”. La salutai e mi incamminai a piedi per Via Monteoliveto. Gli occhi inondati di lacrime. Ma felice di avere con me un ricordo di un amico col quale avevo condiviso anni felici e spensierati, al quale purtroppo la vita non aveva arriso.
Antonio Lanzaro